Emigrazioni stagionali di professione nelle "Germanie"

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Il rapido sviluppo delle città, delle strade e delle ferrovie verificatosi nell'Europa centrale nella seconda metà dell'Ottocento richiama proprio nella buona stagione tutta la forza-lavoro maschile dell'Arco Alpino Orientale.

I meccanismi di attrazione verso i paesi a grande sviluppo capitalistico dell'Europa Danubiana prevarranno, quindi, su quelli di espulsione che, fino ad allora, avevano caratterizzato la montagna friulana e che avevano determinato i ridotti flussi migratori impliciti nel "genere di vita" delle popolazioni montanare.

I raccolti, spesso scarsi, non sono in grado di sopperire neanche in parte alle esigenze invernali, ai bisogni divenuti più larghi e diversificati.
L'equilibrio economico quindi è sempre più instabile, non solo a causa dell'incremento demografico e dell'impoverimento della montagna, ma anche a causa della pressione fiscale dello Stato italiano.

I proventi dell'emigrazione temporanea, le rimesse, diventano la base economica della montagna, finanziano, sotto forma d'imposte dirette e indirette, la costruzione delle "infrastrutture", ma soprattutto reggono i bilanci domestici delle famiglie rimaste in paese.

Nella montagna friulana, insieme alle figure di muratori, scalpellini e tagliapietre specializzati che inseguono i grandi lavori infrastrutturali perfino nelle steppe della Russia, convivono tuttavia arrotini, stagnini, cestai, bronzinai, venditori di stoviglie in legno e "trafficanti" di ogni genere.

Si tratta però di pratiche affidate di regola alle categorie più deboli delle gerarchie lavorative, come le donne, oppure a quelle più riluttanti a recepire in ambito paesano le trasformazioni che progressivamente si affermano sul mercato del lavoro e che tendono a cancellare le produzioni artigianali, tutte orientate a soddisfare i bisogni domestici di un'economia autarchica e comunitaria.