Le partenze - l'emigrazione tra Settecento e Ottocento

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Nel corso del Settecento il fenomeno migratorio non solo assume proporzioni più ampie, ma si delinea anche un'emigrazione che soprattutto nella montagna e nella pedemontana presenta caratteristiche di mestiere, più diversificate da zona a zona: scalpellini, minatori, fabbri, boscaioli, carpentieri nelle valli dal Livenza al Tagliamento, traversinai nella Val Tramontina, personale d'albergo e facchini nella Pedemontana Occidentale.
L'allontanamento lungo tutto il 1700, per alcuni mesi all'anno o per qualche stagione, di nuclei familiari dei paesi della Val d'Arzino e della Val Tramontina, trasferitesi in Carnia per custodire e monticare le mandrie, è prova di un quadro migratorio segnato da spostamenti anche all'interno della regione alpina.

La seconda metà del Settecento e la prima metà dell'Ottocento segnano un periodo di transizione in cui le partenze, diversamente da quanto avviene in passato, tendono sempre più a concentrarsi all'inizio della primavera, "nella stagione in cui la terra più abbisogna di braccia: emigrazione dannosa − segnala Giovanni Domenico Ciconi nel 1845 − perché non aumenta, anzi scema le cognizioni agricole degli emigranti, alletta il viver girovago, profitta poco dinaro, e rallenta i cari vincoli della famiglia e della Patria".

Francesco Pelizzo, medico chirurgo di Spilimbergo, nelle sue Notizie statistiche della Provincia del Friuli del 1846, ritiene che in Friuli l'emigrazione temporanea nasca dalla volontà di migliorare la situazione economica e non dalla necessità di sottrarsi all''azione degli "elementi topografici". Secondo il Pelizzo i Friulani emigrerebbero sempre per scelta.